«Quello che non riesco a capire» disse Ebusio «è perché i nostri genitori si accontentino di così poco. Sembra che la loro massima aspirazione nella vita sia pescare, spremere corniole e pregare divinità ridicole che nessuno conosce fuori da questa valle».

Gettò uno sguardo sprezzante al lago, che splendeva di un verde-azzurro intenso sotto il sole. Un gruppo di bambini giocava a tuffarsi dalla riva. Anche lui e i suoi amici si erano divertiti così per anni, un’estate dopo l’altra, ma ormai quelle semplici sfide non bastavano più a soddisfarli.

«Potremmo trasferirci a Brixia» propose Mandilo.

«E come facciamo?». Ebusio sbuffò. «L’unico di noi ad avere un cavallo è Tinnavio. Non possiamo mica farcela tutta a piedi, lui al trotto e noi dietro di corsa!».

Quell’immagine li fece ridere tutti e quattro.

«Potreste chiedere un prestito per il viaggio» osservò Tinnavio. «E ripagarlo appena troverete un lavoro in città».

«Mio padre mi spella vivo se provo a chiedergli altri soldi» si lamentò Mandilo.

«Già, anche il mio» gli fece eco Ebusio. «Tu cosa ne dici, Secondo? Secondo?».

L’amico dava loro le spalle, taciturno, con gli occhi fissi sulle montagne che chiudevano l’orizzonte. Rispose senza voltarsi, in tono cupo: «È inutile aspettarsi un aiuto dai genitori. Vogliono vederci invecchiare in questo buco schifoso, come è successo a loro».

«Già, lo penso anch’io» mugugnò Ebusio. «Quindi che si fa?».

Secondo si girò finalmente verso gli amici. «Tutto quello che possiamo fare è berci su. Passami quella brocca».

 

Sulla riva del lago, nascosti dai canneti, due uomini stavano pescando l’uno accanto all’altro.

«Questi ragazzi mi preoccupano» disse Enduibataso. «Lavorano poco e vanno matti per le mode cittadine. Roma di qua, Roma di là. Non parlano d’altro».

«Prima o poi metteranno la testa a posto».

«Beh, spero che si sbrighino: Secondo mi sta facendo impazzire. L’altro giorno si è presentato a tavola tosato come una pecora. Dice che i cittadini romani non portano baffi e capelli lunghi». Enduibataso scosse incredulo la testa. «E il bagno? Adesso gli è presa la mania di passare ore e ore a mollo nell’acqua. Si lamenta del vino scadente, della puzza del bestiame, dell’umidità… ma chi gli ha messo in testa tutte queste scemenze?».

L’amico gli diede una pacca sulla spalla. «Consolati, non sei l’unico. Ebusio non fa che chiedermi di vendere le capre per comprargli un cavallo come quello del suo amico Tinnavio».

«Un cavallo!». Enduibataso sputò nell’acqua per dimostrare la sua opinione in proposito. «Che assurdità. Sono convinti di potersi cancellare di dosso le tradizioni dei loro padri con un bagno profumato?».

Il padre di Ebusio fece un sorriso stanco. «Si ricrederanno presto, Enduibataso. Non farti odiare da Secondo. Sarà il mondo là fuori a rovinare i suoi sogni, non suo padre».

Enduibataso si limitò a brontolare, poco convinto.

 

«Perché mi hai dato un nome romano, se volevi farmi vivere da poveraccio?».

«Perché pensavo ti avrebbe reso la vita più facile, invece di montarti la testa! Avrei dovuto darti il nome di tuo nonno, che non si è mai vergognato delle sue origini!».

«Beato lui».

«Come ti permetti di insultare i tuoi avi? Dovresti ringraziare Medilavino per averti concesso il privilegio di appartenere a una stirpe tanto antica e onorata!».

«Se proprio devo, offrirò un sacrificio a Mercurio. Almeno posso chiedergli di farmi vincere ai dadi».

«Vuoi rinnegare anche gli dei del tuo popolo?».

Ailsa sospirò. La lite quotidiana tra suo marito e suo figlio non accennava a placarsi. Si stupiva che le pareti non fossero ancora crollate sotto tutti quegli strilli.

Prese un bel respiro per farsi coraggio ed entrò nella stanza con piglio deciso. «Avete finito? Vi si sente urlare fin dentro il bosco».

Padre e figlio sobbalzarono, colti in flagrante.

«Urlare è l’unico modo per farsi ascoltare qui dentro» ringhiò Secondo.

«Non fare l’incompreso». Ailsa posò il cesto di mirtilli e squadrò suo figlio. I capelli biondi, tagliati corti, erano stati scuriti con qualche tintura casalinga.

Secondo ricambiò il suo sguardo a labbra strette, gli occhi azzurri che lampeggiavano d’ira.

«Allora?». Ailsa guardò dall’uno all’altro con le mani sui fianchi. «Qual è stavolta il motivo della discussione?».

«Qual è il motivo?!» trasecolò Enduibataso. «Dico, ma non lo vedi come si è conciato tuo figlio?».

Ailsa gli dedicò una seconda occhiata. «Non sta poi così male».

«Brava, incoraggialo in questi colpi di testa, così il prossimo passo sarà togliersi le brache per indossare la toga!» protestò Enduibataso.

«Magari» borbottò Secondo.

Il colorito di suo padre virò al rosso scarlatto. Ailsa pensò bene di intervenire prima che la situazione degenerasse. «Adesso calmatevi, tutti e due. Sediamoci. Voglio discutere di questa faccenda con calma».

«Discutere con un sordo non serve a niente» brontolò Enduibataso, ma si lasciò trascinare docilmente verso il suo sgabello davanti al fuoco.

Ailsa gli strinse la mano per tenerlo buono e si rivolse a suo figlio: «Vuoi spiegarmi, Secondo?».

«Non c’è niente da spiegare. Voglio andarmene da qui».

«Andartene dove?».

Il ragazzo alzò le spalle senza rispondere.

«Te lo dico io dove» tornò a scaldarsi Enduibataso. «A Roma, addirittura! Crede che un peregrinus come lui verrà accolto a braccia aperte!».

Secondo scattò in piedi. «Forse un giorno riuscirò a guadagnarmela, la cittadinanza! Mentre tu resterai qui a marcire nello sterco di capra!». Scappò fuori dalla stanza prima che suo padre potesse alzarsi. Si sentì la porta sbattere.

Ailsa guardò il marito e sospirò profondamente.

 

Quella notte, poco prima dell’alba, un bussare concitato strappò Ailsa dal suo sonno inquieto.

«Ailsa! Enduibataso! Aprite!».

Ailsa si gettò addosso un mantello e andò alla porta con una lucerna accesa, seguita dal marito che brancolava dal sonno. Fuori, battendo i denti nell’umidità gelida, li aspettava Pliamno, il padre di Tinnavio. Quando li vide abbassò gli occhi. «Mi dispiace, è tutta colpa mia. Sono corso qui appena l’ho saputo».

«Cos’è successo?» chiese Ailsa, oppressa da un brutto presentimento.

«È Secondo. Ha preso in prestito il cavallo di mio figlio ed è partito». Pliamno scosse sconsolato la testa. «Tinnavio dice che vuole arruolarsi nelle legioni».

Enduibataso era un omone grande e grosso, ma Ailsa lo vide afflosciarsi come un sacco vuoto sotto il peso di quelle parole.

 

Venticinque anni dopo

 

Il legionario fermò il cavallo sul limitare della scarpata e si asciugò la fronte. L’aria era afosa e pesante, senza un filo di vento.

Il lago si stendeva sotto di lui, azzurro e invitante, incorniciato dalle montagne. Si vedeva qualche barca da pesca, ma la maggior parte della gente a quell’ora riposava all’ombra degli alberi. I bambini sguazzavano nell’acqua bassa.

“Qui non è cambiato niente” pensò, con un misto di insofferenza e struggimento.

Il cavallo scese il sentiero a passi cauti, facendo franare il terriccio. Tanti anni, e ancora nessuno aveva pensato di trasformare quel tracciato da capre in una vera strada. “Si vede proprio che non siamo romani” pensò ancora, con un mezzo sorriso.

Quando vide il fumo levarsi sopra gli abeti, frenò il cavallo per darsi il tempo di contenere l’emozione. Aveva rimandato quel momento per molto, troppo tempo.

Un fruscio di rami lo fece voltare di scatto. Una donna dalle trecce grigie era uscita dal bosco canticchiando, con un cesto tra le braccia. Quando alzò lo sguardo su cavallo e cavaliere, il cesto le scivolò dalle mani e si rovesciò a terra. Fragole e bacche rotolarono tra l’erba. «Secondo…?» mormorò.

Il soldato dovette deglutire per riuscire a risponderle: «Ciao, mamma».

Scese di sella e rimase immobile, con le redini in mano, senza sapere bene come comportarsi.

Ailsa si avvicinò piano e gli sfiorò una guancia. Lo fissava con un’intensità quasi dolorosa. «Sei proprio tu. Sei tornato».

«Così pare» tentò di scherzare, ma la voce gli venne meno. Accarezzò il cavallo, a disagio, evitando gli occhi di sua madre. «Dov’è papà?».

«Alla fonte sacra». Lei accennò col mento a un punto imprecisato dietro gli alberi. «Ci va ogni giorno. Ha fatto un voto a Medilavino, la notte in cui sei partito».

«Ah». Secondo si schiarì la gola. «Pensi che… forse potrei…».

Ailsa annuì, decisa. «Vai».

Secondo esitò un momento, poi si chinò a darle un bacio sulla guancia. Non la ricordava così bassa.

Legò il cavallo a una betulla e si allontanò in fretta, inerpicandosi sul sentiero. Sentì lo sguardo di sua madre sulla schiena finché non scomparve nel bosco.

 

L’uomo era inginocchiato nel muschio, con le mani immerse nell’acqua. Stava recitando a fior di labbra una cantilena rituale. Secondo riconobbe a stento qualche parola dell’astruso dialetto celtico delle ninnananne della sua infanzia.

Tossì per segnalare la propria presenza. «Papà? Sono io. Secondo».

L’uomo irrigidì le spalle, ma non si girò.

Secondo si avvicinò di qualche passo. Le caligae affondavano nel fango molle della sponda. Lo toccò sulla spalla. «Papà».

«Mio figlio se n’è andato molto tempo fa» disse Enduibataso, con voce bassa e roca. «È diventato un Romano».

«Più o meno. Ma parla ancora un latino terribile, mi dicono».

Enduibataso si voltò lentamente. Lo studiò dalla testa ai piedi. «Non ti vergogni più dei tuoi capelli?».

«Beh, portare l’elmo ha i suoi vantaggi».

Sotto la barba brizzolata balenò un sorriso. «Non sei cambiato. Il senso dell’umorismo l’hai preso da tuo nonno».

«Meglio quello che il nome. “Bitumo”? Su, andiamo».

La risata tonante di suo padre era uguale a quella che ricordava. Ma quando si mosse per abbracciarlo, Enduibataso lo fermò con un gesto. Aveva l’aria seria e triste. «Perché sei tornato, cittadino romano? Quassù non c’è niente per te».

Secondo si guardò intorno, a corto di parole. Il bosco, le felci umide, il ruscello che saltava sui sassi. Alcune monete brillavano sotto la corrente, consacrate al dio.

Infine incrociò gli occhi di suo padre. Malinconici, velati dall’età, ma ancora azzurri come i suoi. «Sono sopravvissuto a molte battaglie. Devo sciogliere il mio voto a Medilavino».

Enduibataso non disse nulla. Si limitò ad annuire e gli spalancò le braccia.

Solo allora Secondo seppe di essere finalmente tornato a casa.

 

Medilavino / Secundus / Enduibatasi f(ilius) / v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

Secondo figlio di Enduibataso ha sciolto il voto a Medilavino, lieto a ragione.

(epigrafe in pietra calcarea ritrovata nel lago di Ledro nel 1937)

lago di Ledro, Trentino, Italia

lago di Ledro, Trentino, Italia