– Ciao, disse la signora.

– Ciao, rispose la bimba.

E si sedettero su una roccia, mentre sul sentiero calava il tramonto. La signora aveva i capelli come la panna, bianchi e morbidi; la bambina i boccoli castani.

– Come ti chiami?, chiese la signora.

– Paresia, rispose la bimba.

– Pure tu? Anch’io mi chiamo Paresia.

– Dai, stai scherzando.

– No no, giuro. E tua mamma?

– Efaistò.

– Scherzi? Anche la mia.

– Non possiamo essere la stessa persona. Tu sei una signora e io sono una bimba.

– Ma infatti non lo siamo. Come si chiama tuo babbo?

– Acrisio.

– Vedi? Il mio era Lisidamo.

– Fiuuu. Mi ero presa un colpo.

– Quanti anni hai, piccolina?

– Oh, nemmeno quattro.

– Apperò. Come parli bene.

– Credo perché sono morta, rispose tristemente la bimba. – Prima era diverso. Non so se è successo anche a te.

– In un certo senso, rispose la signora. – Da viva mi faceva un male assassino l’anca. Adesso no.

– Non è una brutta cosa, questa.

– No, per me no. Figurati, a sessant’anni suonati, con tutti i nipoti e tutti i dolori del mondo, mi ero già bella che stancata. Meritavo un po’ di riposo. Ma tu, piccolina, che tristezza. Andarsene a soli quattro anni.

La bambina fece spallucce.

– Non saprei. Ero al mondo da così poco che francamente non ho idea di cosa mi sia persa.

La Paresia coi capelli color panna non rispose, perché la Paresia coi boccoli non aveva torto. Si alzò in piedi, e:

– Andiamo? C’è ancora un po’ di strada da fare.

– Mi tieni per mano? La mamma lo faceva sempre.

– Ma certo.

– Tu sai dove stiamo andando?

– No. So solo che dobbiamo andarci. Ti dispiace?

– No.

– Non ti fa nemmeno un po’ paura? A me sì.

– No. Come potrebbe? Non l’ho mai vissuto.

– Anche questo è vero, rispose la Paresia bianca, e presa per mano la bimba, se la portò dietro delicatamente lungo il sentiero, verso il sole che tramontava.