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/ [D(is) M(anibus)] / et memoriae aetern(ae) / L(uci) Secundi Octavi Treveri / acerbissima morte de/functi qui cum ex incen/dio seminudus effugis/set post habita cura salutis / dum aliquit e flammis eri/pere conatur ruina parie/tis oppressus naturae socia/lem spiritum corpusque ori/gini reddidit cuius exces/su graviore damno quam / rei amissione adflicti / Romanius Sollemnis et Secun/di Ianuarius et Antiochus / conliberti merita eius / erga se omnibus exemplis / nobilissima titulo sepul/c{h}ri sacraverunt et / Erophilus in modum frater/nae adfec[t]ionis et ab in/eunte aeta[te] condiscipu/latu et omnibus bonis artibus / copulatissimus amicus et / sub ascia dedicaverunt


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  • conservationPlace: Lyon45.764043 4.835659'
  • findingSpotAncient: Lyon - Lugudunum , Lugudunensis
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  • Repository: Epigraphische Datenbank Clauss - Slaby
 

***

[D(is) M(anibus)] et memoriae aetern(ae) L(uci) Secundius Octavi Treveri acerbissima morte defuncti qui cum ex incendio seminudus effugisset posthabita cura salutis dum aliquit e flammis eripere conatur ruina parietis oppressus naturae socialem spiritum corpusque origini reddidit cuius excessu graviore damno quam rei amissione adflicti Romanius Sollemnis et Secundi Ianuarius et Antiochus conliberti merita eius erga se omnibus exemplis nobilissima titulo sepulc{h}ri sacraverunt et Erophilus in modum fraternae adfec[t]ionis et ab ineunte aeta[te] condiscipulatu et omnibus bonis artibus copulatissimus amicus et sub ascia dedicaverunt

***

Agli Dei Mani e all’eterna memoria di Lucio Secondius di Ottavio, di Treviri, morto di morte assai precoce, che dopo essere fuggito mezzo nudo da un incendio per la sua usuale cura per la salvezza altrui, provò a togliere qualcosa dalle fiamme e, schiacciato dalla caduta della parete, rese alla natura il corpo e il suo spirito amichevole. Afflitti dal suo decesso più che dalla perdita dei beni, Romanius Sollemnis, Ianuarius Secundus ed Anthiocus Secundus, liberti insieme a lui, consacrarono le sue nobilissime gesta verso di loro con l’iscrizione del sepolcro che dedicarono sub ascia insieme anche ad Erofilo, fraterno amico e, fin dalla giovinezza, condiscepolo e compare per tutte le sue buone qualità.

***

Questa stele è dedicata alle divinità della morte e all’eterna memoria del nostro amico Lucio, uno straniero, originario di Treviri, ma vissuto e morto qui a Lione. Quale morte gli è toccata! Lo abbiamo visto fuggire dalla casa in fiamme con indosso quanto aveva per dormire, come per miracolo, piangevamo di gioia nel vederlo vivo! Poi si è voltato ed è tornato nella casa mentre gli urlavamo di fermarsi e di non fare sciocchezze. Un momento di follia! Un istante! Chissà cosa avrà voluto recuperare… Qualunque cosa fosse, speriamo l’abbia trovata, speriamo fosse sotto il muro che gli è crollato addosso, privandoci di un uomo abile e coraggioso, ma soprattutto di uno spirito impareggiabile. Non lo penso solo io, ma anche gli altri che sono stati liberti insieme a lui e che hanno voluto esprimere queste parole con me. Erofilo, che si è unito a noi per onorare il defunto, con questa tomba piange la perdita di un fratello più che di un amico e non è riuscito ad essere qui con noi oggi per quest’ultimo saluto.

***

I: Perché non “semi”nudus, invece di nudus soltanto?

A: già, non è male, dovrebbe starci e così non dobbiamo pagare una parola in più.

I: ma tu sai cosa è corso a prendere?

A: non lo so, no. Forse Erofilo ne sa qualcosa. Mi spiace davvero per Lucio, qualunque cosa sia che lo ha portato a gettarsi verso morte certa nonostante si fosse salvato, doveva essere davvero importante.

I: ma poi si è capito cosa ha causato l’incendio?

A: non lo so, i vigili non sono stati molto a cercare, non era rimasto niente e già c’era poco prima. E’ già un bene che le fiamme non abbiamo raggiunto altre case.

I: qualche metro e mi facevano fuori il porticato…

A: qui si usa mettere “sub ascia”, vero? ma tu sai cosa vuol dire?

I: alla taverna un tizio mi ha detto che è un simbolo antico, che se non c’è la formula nell’iscrizione si porta il malocchio…

A: lo mettiamo alla fine allora, per esteso. Hai la frase di Erofilo?

I: eccola qui, me l’ha mandata poco fa.

A: questa non ci sta però nella formula che abbiamo usato finora. La aggiungo prima della dedica, cosa ne dici?

I: metti “et” dopo sacraverunt. Si, sembra che lui con l’iscrizione non abbia a che fare… vabbè, se va bene anche a Romanius la portiamo dal lapicida così, se no vediamo se lui ha qualche proposta per cambiare il testo.

***

Non c’era più nemmeno un osso o un brandello di Lucio. Nulla, Maestro, n u l l a! Capisce? Appena i vigili hanno spento le fiamme sono corso a cercare, nel fumo e nel freddo della notte, perché ancora speravo. Mi hanno tirato fuori di là Antiochus e un vigile, e mi dimenavo urlando che mi lasciassero cercare, mentre loro mi dicevano che ero un pazzo e che avrei dovuto aspettare. Ho atteso trattenuto da loro, nello sgomento generale, fino alle prime luci dell’alba, quando ormai solo pochi fili di fumo si alzavano dalle macerie. Lei dice che bisogna essere saldi di cuore soprattutto di fronte alla sventura. Lucio lo è stato ritornando tra le fiamme di sua volontà. Io invece, per cercare il suo cadavere, pur sicuro di dove fosse purtroppo, non sono stato capace di controllarmi. Ho urlato, scalpitato, gridato e pianto tutta la notte. Me ne vergogno un po’ ora che la rabbia e la follia del momento hanno lasciato spazio al vuoto lasciato da Lucio. Era davvero un fratello per me. Abbiamo avuto la stessa nutrice, siamo andati insieme a seguire le prime lezioni e insieme siamo venuti da Treviri a qui. Quante ne abbiamo fatte! Dalle marachelle al mercato, a prender mele sotto il naso dei cittadini, fino ai viaggi attraverso l’impero; e poi gli studi superiori e le prime responsabilità… Dove trovo la forza di pensare che ora non ci sarà più per le serate di vino e per le discussioni di politica locale? Con chi condividerò le frustrazioni e le gioie del quotidiano lavoro sapendo di trovare un orecchio complice? Tutti lo conoscevano e ne conoscevano l’animo buono. Perché Maestro? Cosa lo ha attratto così tanto da spingerlo a gettarsi tra le fiamme? Qualunque cosa sia è bruciata con lui, e nemmeno d’essa è rimasto nulla. Come si descrive una morte così? stupida? sciocca? soltanto “prematura”, oppure nobile ma insensata? Fosse corso a salvare un bambino, una vecchia, persino un gatto, ciascuno avrebbe capito e onorato la nobiltà del suo gesto a conclusione di una vita nobile. Ma non c’era nessun’altro in casa, né nulla di cui io riesca a pensare, che potesse valere la vita che gli era stata lasciata. Che spreco… si può dire almeno questo?   

***

Tra i liberti di Secundius, Lucio Ottavio era noto a tutto il paese. Una persona generosa, capace, buona, senza fronzoli e anche colta. Dal suo arrivo nella città nel sud della provincia Lugudunensis, più ricca e sviluppata della Treviri in Belgica da cui proveniva, non aveva perso tempo e, anche dal punto di vista degli affari, molti avevano capito che si lavorava bene con lui. Viveva in una casa propria, ancora solo, nonostante fosse passata l’età di trovar moglie, nella zona dove anche gli altri liberti di Secundius avevano dimora. Alla sera, quando non c’era più luce per trafficare, veniva il momento per la candela e i suoi amati libri. Non era stato tanto il Maestro a passargli la passione per la lettura, quanto le belle chiacchierate con l’amico Erofilo, quasi un fratello per lui, con cui aveva condiviso tutto, fin dall’infanzia. Si trovavano per una camminata in montagna e si mettevano a conversare in greco, per tenersi in esercizio, e parlavano delle ultime letture, della poesia di Catullo che non aveva mai smesso di essere nuova e delle idee di Platone, che davano molto da pensare più che chiarire cosa fosse il mondo e la vita. I pensieri di Marco Aurelio erano la sua opera prediletta, anche perché ne possedeva una parte, su un rotolo dietro al quale era stato trascritto il contenuto di una spedizione che aveva ricevuto. Lo rileggeva spesso e poter tornare su quelle parole, leggendole pur ricordandole ormai a memoria, gli dava l’occasione di ripensarle, di vedere cosa ci poteva essere di nuovo da scovarci dentro. Leggeva altrimenti quel che riusciva ad ottenere a prestito e che poi rendeva prontamente, sempre un po’ a malincuore.

Quando rientrò a casa quella sera si cucinò una minestra di farro, insaporendola con qualche erba dell’orto di Romanius, che tanto non se ne faceva mai nulla di tutta la roba che riusciva a produrre. Lui gli portava le ultime sementi esotiche in arrivo sul mercato e in cambio faceva una passeggiata nel giardino partendo con un cestino vuoto e uscendo con un cestino pieno. Il clima ben bilanciato della regione alle pendici delle Alpi rendeva i prodotti buoni e spesso non era tardi ancora a Novembre per qualche ultimo dono estivo della terra. Riusciva anche, cuocendole, a conservare sott’olio, in un suo deposito sotterraneo, dei prodotti per Febbraio e Marzo, quando anche i cavoli e le verze sarebbero finiti e si sarebbe dovuto aspettare fino a Maggio o Giugno per le primizie del nuovo anno.

Era stata una giornata lunga e stava per passare la mezzanotte quando gli cadde la testa sul bracciolo della poltrona e, senza accorgersene, si addormentò. Dapprima credette che fosse solo prurito al naso. Poi buttò la coperta con un calcio perché c’era caldo. Starnutì, si girò e sentì un odore pungente. Schiuse un occhio e vide troppa luce. Aprì anche l’altro e balzò in piedi, liberandosi alla svelta della toga già coperta di frammenti di brace. Guardò la porta, oltre il tavolo in fiamme, guardò verso la finestra e la intravide, nel fumo fitto, aperta. Buttò la toga sul pavimento rovente soffocando per un attimo le fiamme e corse verso la finestra. Sentì cadere lo scaffale dietro di lui mentre afferrava la balaustra, aggrappandosi per uscire, nonostante si stesse già scottando violentemente le braccia e la schiena. Era fuori. Si batteva con le mani i pantaloni, non sapeva bene se per spegnere quelli o per lenire il dolore alle mani. L’armadio aveva schiacciato parte del fumo e si vedeva l’interno della stanza ormai in fiamme. Sentiva i vigili arrivare e gli amici corrergli incontro e farsi vicini e gridare verso di lui, mentre rimetteva le mani su quella finestra per rientrare nella casa e percorrere la schiena dell’armadio ancora intatta, sicuro di poter ripetere il salto appena compiuto una terza volta. Ma lo scricchiolio che chiuse la sua via d’uscita non gli lasciò che il tempo di stringere tra le dita una parola non ancora bruciata.