Questa storia è stata elaborata nell’ambito del corso di Epigrafia latina sp. attivato per la laurea magistrale in Scienze dell’Antichità, Università Ca’ Foscari Venezia (prof. Lorenzo Calvelli)


Aemula Baianis Altini litora villis

Et Phaethontei conscia silva rogi,

Quaeque Antenoreo Dryadum pulcherrima Fauno

Nupsit ad Euganeos Sola puella lacus,

Et tu Ledaeo felix Aquileia Timavo,

Hic ubi septenas Cyllarus hausit aquas:

Vos eritis nostrae requies portusque senectae,

Si iuris fuerint otia nostra sui.


Con questi versi il poeta Marziale celebra la capitale della Venetia et Histria, Aquileia, e l’urbe sulle sponde della grande laguna del Venetorum Angulus, Altino.

Tabula_Peutingeriana_-_Altino

(Da Wikipedia)

Alla caduta della Romanità, dopo secoli di floridezza, il destino che attendeva questa comunità sospesa tra terra e mare era di lenta ma inesorabile rovina. Le invasioni barbariche portarono allo spopolamento delle città dell’entroterra veneto, e gli altinati si trasferirono lentamente tra le barene della laguna, prima nell’isola di Torcello, poi, quando anche questa realtà si rivelò inadatta, nelle isole di Rialto. Non solo gli esseri umani ma anche le stesse costruzioni furono spostate: la città fu smontata e i materiali recuperati per le nuove realtà insediative.

Le memorie di Altino, progenitrice di Venezia, riposano non soltanto al di sotto della verde campagna che ora ricopre l’urbe, ma anche nel cuore storico della Serenissima: molte sono le pietre romane che ancora oggi la ornano.

L’ignoranza che oscurava il giudizio dei moderni sulla reale grandezza di Altino e di quali magnifiche architetture fosse stata dotata, è venuta meno in anni recenti grazie alla campagna di Telerilevamento e Aerofotogrammetria.

tele1

tele2(da Ninfo et al. 2011, figg. 2, 4)


Monumenta.

Di essi, solo le fondamenta. Sepolti. Dimenticati dalla Storia. Al sicuro.

Ma qualcosa di questa antica realtà ce lo possono forse raccontare due persone che quel tempo lo vissero.

“E Chi?” Ce lo diranno loro…

Come?

Esiste un nume che ha nome “genio“. Si disse che fosse il protettore della sorte delle persone, delle famiglie, persino dei luoghi… Ovidio riteneva che potesse pure sopravvivere a questi…

Forse avrebbe potuto anche conservarne alcune memorie e tramandarle ai posteri…

«Certo…» diranno lor signori «Ma son credenze!»

«Certamente…» gli si risponde…

«Ma se…»


Museo_Altino(Da Wikipedia)

Ad Altino è possibile visitare il Museo Archeologico Nazionale. La nuova sede risulta da poco aperta al pubblico, seppur incompleta. La sede originaria, invece, fu aperta al pubblico nel 1960. Un luogo oggi assai angusto, vista la gran quantità di monumenti che vi sono conservati. Un luogo che un tempo si poteva ammirare e oggi non più. Tra questi reperti ve n’è uno in particolare che accoglieva il visitatore. Un’epigrafe posta di fronte all’entrata.

gavio(Da Cresci 2004, fig. 1)

La sua storia ha inizio molti lustri or sono e in altri lidi…


Venezia.

San Marco.

Una notte di 57 anni fa…


Il trasferimento sarebbe dovuto avvenire il mattino seguente. l’epigrafe era stata preparata con tutti gli accorgimenti del caso. Il silenzio più totale avvolgeva gli ambienti deserti.

Un fremito percorse tutto il titulus. Dal basso emerse un essere traslucido che presto assunse la forma di un serpente, avviluppandosi lungo tutta la lastra. Appoggiata la testa sulla cima, diresse lo sguardo nell’oscurità della sala di fronte a essa.

«Palesati!» esclamò con voce ultraterrena. «So che mi stati osservando!»

Dalle tenebre si fece avanti un altro essere, le fattezze del tutto simili al primo. La lunga coda si perdeva nell’oscurità dietro di esso: era giunto da lontano.

«Vedo che prediligiamo la stessa forma» disse il nuovo arrivato.

«Non si usa presentarsi?»

Sorrise. «E sia».


L(ucius) Terentius T(iti) f(ilius)
IIIIvir i(ure) d(icundo)
monimentum fieri iussit.
Ea pecunia d(ecreto) d(ecurionum)
viae stratae sunt
ab Annia ad murum
et post cryptam ad theatrum.


«Io son Terenzio, figlio di Tito, fui quattuorviro e vissi al tempo del figlio del Divo Giulio e dei suoi eredi. Per evergetismo proprio vie furono pavimentate, lungo l’Annia al muro e oltre la crypta al teatro.»

Poiché non poteva vedere il suo titulus, custodito in chissà quale altro luogo, egli non poté far altro che fidarsi delle parole dello straniero, ricambiandole.


[ – ] Gavius L(uci) f(ilius)
[· 3 ·] Aquilo IIIIvi[r]
[iur(e)] d(icundo), IIIIvir aed[i]
[lic(ia) p]otestate, tr[i]
[bun(us)] mil(itum), praef(ectus) eq(uitum)
[ – – – s]ummarum.


«Io son Gavio, figlio di Lucio, Aquilone, e fui quattuorviro pur’io, ma anche tribuno militare e comandante della cavalleria. Non chiedermi infine delle summae, il cui significato si perde nel caos del tempo in cui il figlio del Divo Giulio ancora riorganizzava la Repubblica».

«Bene» continuò Terenzio «Ora ascolterai quel che ho da dirti?»

«Ti ascolto» rispose Gavio.

«Sono giunto qui dalle procuratie. Ho da proporti un patto. So che domani il tuo titulus sarà trasferito ad Altinum. Una volta giunto là, potrai visitare quella che fu la nostra urbe originaria. Se un giorno riuscirai a ritrovare i luoghi da cui proveniamo, tornerai qui da me per portarmi la lieta novella. Io non ho la forza di muovermi oltre le fondamenta di questa città»

«”Urbe originaria”?! Di cosa parli? Io so già da dove provengo!»

Gavio allora raccontò la sua storia. Disse di essere stato trovato ad Equilium, ben centoventisette anni prima, e di esser giunto in quel luogo solo dopo esser stato donato dal proprietario del suo titulus.

«Quello è il luogo da cui provengo. Non certo Altinum

«E comunque attraversare la laguna non è certo un gioco semplice come lo fai sembrare tu! Poi che cosa significa che tu non puoi muoverti da qui?» concluse Gavio.

«Il mio titulus è andato distrutto. Questo rende limitate le mie possibilità» fece laconico Terenzio.

Gavio ammutolì.

Terenzio allora raccontò anch’egli la sua storia. Disse di come fosse passato in molti luoghi e in molti oggetti, finendo infine in un manoscritto in cui era trascritto il suo titulus, che fu proprietà d’un tal Cicogna e che ora era custodito in un luogo sicuro, catalogato nel fondo omonimo nella posizione milletrentadue. Era l’unico porto sicuro che era riuscito a trovare.

«E come accadde che il supporto fu distrutto?» chiese Gavio.

«Del luogo in cui fui ostentato quando ero ancora nella pietra non ho memorie. Tutto il resto è cristallizzato in una singola frase: “Venetiis apud S. Samuelem in domo Cornaria”».

Terenzio allora continuò la sua storia. Disse di esser stato, in un tempo remoto, parte delle ricchezze della potente famiglia veneziana dei Corner.

«Si credevano discendenti della gens Cornelia!» esclamò.

«Pensa te…» commentò Gavio.

«Oltre a questo, ricordo soltanto di come vagavo per San Marco alla ricerca di quel palazzo… nonostante quella frase fosse fissa nella mia mente, non riuscii mai a trovarlo. Sembrava non fosse mai esistito un tale palazzo in quel preciso luogo. Un giorno semplicemente mi arresi e mi rintanai nel manoscritto, in attesa di qualcosa… o qualcuno».

«Me?» domandò Gavio.

«Chissà…»

«Ascolta, collega: la tua storia è molto toccante, ma non capisco perché tu abbia scelto me per aiutarti a trovare i luoghi che cerchi. Già sai che io son di Equilium. Come potrei aiutarti?»

Terenzio gli si avvicinò. Osservò per un istante il suo titulus, quindi alzò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi.

«Questa lastra… Tre fori in cima, per l’olivella e le grappe… la lavorazione in anathyrosis ai lati… le parole decentrate ed il vuoto nell’angolo in alto a sinistra…»

«Cosa…?»

«Certamente altre due lastre dovevano essere affiancate a questa. La memoria di un bravo e fedele soldato, con mansioni straordinarie, che esigeva le summae dai suoi conterranei».

Epi011 - Copia(Da Cresci 2004, fig. 2)

«E magari tu pensi anche di esser stato iscritto da solo sull’edificio che ospitò questo titulus. O forse no!»

Terenzio fece una pausa. Gavio era ammutolito.

«Tu fosti un quattuorviro. Esattamente come il sottoscritto. C’erano altre tre persone iscritte con te. Altre tre lastre affiancate alla tua. E le summae? Niente meno che un lungo e doveroso enunciato politico. O amministrativo. Probabilmente entrambi. Chissà, magari per la costruzione proprio dell’edificio su cui eri stato iscritto».Epi011(Da Cresci 2004, fig. 3)

Gavio continuava a restare muto.

«Allora? Come sono andato?»

«Come…?» balbettò Gavio.

Finora nessuno degli uomini di quell’epoca che lo avevano esaminato era riuscito a giungere a quelle conclusioni. Eppure a Terenzio bastò una semplice occhiata… dopotutto si trattava di una persona del suo tempo.

«Tu sarai anche più vecchio di me, ma io vago per questo mondo da più di te, caro il mio quattuorviro! Non pensi che l’edificio a cui appartenevi potrebbe esser stato ben più maestoso di qualcosa di adatto ad un semplice vicus? Qualcosa di adatto ad una città? Altinum magari?» lo stuzzicò Terenzio.

«Va bene! Va bene! Alla fine non mi costa niente. Cosa vuoi che faccia?» disse Gavio, sconfitto.

«Seguirmi, finalmente! Dai! Forza!»

Terenzio si addentro nell’oscurità da cui era giunto e Gavio si decise infine a seguirlo. Man mano che si allontanava dal suo titulus, il suo corpo serpentino si allungava, con la coda sempre avviluppata saldamente alla pietra.

Dopo un lungo peregrinare nelle tenebre della notte veneziana, giunsero in un luogo angusto, una piccola saletta nascosta. Una libreria di legno campeggiava colma sul muro di fondo. Gavio notò subito una serie di enormi codices al centro dello scaffale più grande..

«Sì. Proprio quelli»

Gavio non ebbe neanche il tempo di controbattere. Terenzio si diresse verso di essi e toccò con la testa il quinto della serie. Questo si estrasse lentamente, cadendo a terra. Con sommo stupore di Gavio, esso rallentò all’ultimo istante, appoggiandosi delicatamente sul pavimento. Terenzio lo fece aprire, sfogliando le pagine più volte. Gavio osservava impassibile.

«Ecco» disse fermandosi ad una pagina. «Qui, questo sono io» indicò con la testa.

Gavio abbassò lo sguardo.

CIL V - 1008a small(CIL V, 1008a, p. 111)

Voltò di nuovo pagina più volte «E qui, questo sei tu» indicò ancora.

Gavio abbassò nuovamente lo sguardo.

CIL V - 2160 small(CIL V, 2160, p. 207)

Rialzando lo sguardo, incontrò quello sorridente di Terenzio. «Mi hai portato fin cui solo per leggere un codex?» domandò.

«Questo è Il Codex! Il quinto del grande corpus di quello studioso germanico! Sicuramente l’avrai incontrato!» esclamò Terenzio. «Il tuo titulus è ancora integro! Non può non averti esaminato! Fu grazie al suo illustre giudizio se è stato deciso di trasferirti ad Altinum».

«Ah! Quello lì!» disse Gavio. «Ci fu gran movimento quando venne, ormai quasi un secolo fa. Me lo ricordo perché aveva al suo seguito un tipo che non lo lasciava mai. Simpatico. Pendeva dalle sue labbra. Ogni cosa che vedeva se la annotava. Doveva essere il suo periegeta. Credo abbia scritto anche di me! Il suo manoscritto dev’esser ancora custodito nella Biblioteca

«Allora se avrai le mie stesse fortune, almeno potrai trovare un nuovo luogo dove restare!» scherzò Terenzio.

«Divertente!» fece serissimo Gavio «Ma! Aspetta! Il “suo illustre giudizio”? Ecco perché sei venuto da me!» disse Gavio.

«Ebbene sì! Ho appreso di te da quest’opera. Poi ho saputo che per questo motivo intendevano trasferirti, quindi…» ammise Terenzio.

«Non so se essere onorato o irritato da tutto ciò, a dire il vero. Comunque, per cos’altro siamo giunti qui? Solo per vedere una trascrizione dei nostri tituli

«No! In questo codex il germanico spiega di come decise di assegnare per convenzione ad Altinum tutti quei tituli presenti a Venezia la cui città originaria non si poteva determinare. Io e te, checché tu ne dica, siamo tra questi».

«Per convenzione?» brontolò Gavio. «Ma allora lo vedi che…»

«Aspetta!» lo interruppe Terenzio. «So cosa stai per dire. Ho fatto ulteriori ricerche,  nel tempo, e ho motivo di ritenere che la scelta del germanico fosse corretta, almeno nel mio caso. Nel tuo, vicus a parte…»

«Sì sì, va bene, al solito!» lo interruppe Gavio. «E sentiamo, quali sono queste tue motivazioni?»

«Allora» cominciò Terenzio. «Innanzi tutto nel mio titulus si dice di un teatro. Ad Altinum il teatro fu costruito!».

«Anche ad Aquileia lo fecero. Me lo ricordo quello. E pure a Iulia Concordia, per dire.» controbatté Gavio.

Terenzio restò muto per alcuni istanti. non si aspettava che Gavio sapesse ribattere con certe conoscenze.

«Certo. Ma si parla anche dell’Annia. Essa non passava attraverso Aquileia. La raggiungeva soltanto!»

«Però passava per Iulia Concordia» controbatté ancora Gavio.

«Giusto. Ma io fui quattuorviro. Carica municipale. Iulia Concordia era una colonia. Inoltre ho parlato con molti altri che furono portati qui come noi e nessuno giunse da Concordia. Ad Altinum, invece, mi fu detto che di Terentii ce n’erano numerosi» concluse.

Gavio restò in silenzio per alcuni istanti.

«E va bene. Che Altinum sia!».

Terenzio annuì e sorrise soddisfatto.

Rimesso il codex al suo posto, affinché nessuno notasse il loro passaggio, entrambi tornarono sul loro percorso fin dove si erano incontrati.

Gavio si riavvolse attorno al suo titulus. «Devo dire che è stata una chiacchierata assai interessante».

«Allora? Esaudirai la mia richiesta?» gli fece Terenzio.

«Sì, perché no? Almeno avrò qualcosa da fare anche quando sarò esposto circa Altinum. E poi ammetto che la tua idea di farmi un altinate come te alla fine non mi dispiace».

«Anche se mi tengo comunque stretta la mia Equilium. Non si sa mai…» scherzò Gavio.

«Ottimo! Allora siam d’accordo. Ti ringrazio tantissimo. Questo significa molto per me» disse Terenzio.

«Devo dirti però che non so quanto tempo sarà necessario. Non conosciamo i progetti degli uomini di quest’epoca per Altinum. Potremmo non rivederci per molti anni» disse Gavio.

«Non preoccuparti. Ti aspetterò il tempo necessario. Sono certo che qui avranno molta cura del manoscritto in cui sono custodito. Non corro pericoli» concluse Terenzio.

Entrambi si guardarono negli occhi per qualche istante, in silenzio.

Improvvisamente Terenzio si girò di scatto. «Sarà meglio che ritorni nei miei luoghi. Il sole sta per sorgere» disse.

Poi voltò la testa verso l’amico. «Gavio, figlio di Lucio, è stato un piacere dialogare con te».

L’amico sorrise. «Terenzio, figlio di Tito, il piacere è stato tutto mio».

Terenzio allora si mosse e Gavio lo guardò allontanarsi nelle tenebre fino a scomparire. Infine anche la sua forma serpentina si ritirò di nuovo nella pietra da cui era emersa.

Il momento del trasferimento stava ormai per giungere.


Altino.

Museo Archeologico.

Qualche notte fa…


Il silenzio della notte abbracciava tutti gli ambienti. Inestimabili reperti archeologici si osservavano l’un l’altro nelle salette anguste. Posta di fronte all’entrata, ormai ben pochi fortunati potevano ammirarla. Un fremito percorse tutta l’epigrafe. Dalla base in mattoni emerse la sua traslucida forma serpentina. Egli si adagiò sul pavimento, avvolto su se stesso a spirale. Da quando era stato addossato al muro, Gavio aveva rinunciato alla sua posizione precedente.

«Anche oggi solitudine. Nessun cambiamento. Nessuna novità».

Molti decenni erano passati da quando il quattuorviro era giunto in quel museo. Ben pochi erano stati i luoghi che egli aveva potuto visitare dell’antica Altinum, perlopiù le necropoli. Nemmeno era riuscito ad incontrare il genio di quella città. Se esso ancora esisteva, sicuramente non era più nel suo luogo d’origine. Certo aveva potuto vedere le fondamenta della porta d’acqua monumentale, una parte del decumano con il relativo attracco fluviale, mosaici, mausolei, ma del nucleo monumentale della città antica tutto era ancora sepolto. Solo di recente egli aveva sentito di nuovi studi che erano stati condotti dagli uomini di quel tempo con tecniche a lui ignote.

Gavio infine si mosse ed uscì dall’edificio, dirigendosi verso le sponde della laguna. Si fermò al limitare delle barene e volse il suo sguardo verso l’orizzonte

«Amico mio, non so ancora per quanto dovrai aspettare. Spero davvero che un giorno riuscirò a portarti la lieta novella che tanto attendi».

«Ho saputo da poco che torneranno anche quest’anno. Penso ancora quando vennero la prima volta l’anno scorso. Visitarono il museo un pomeriggio. Erano persone dall’aria allegra, ma anche un po’ malinconica. Non capii bene il perché, a dire il vero. Uno di loro mi esaminò anche con grande curiosità».

«Riuscii per poco a vedere quel che fecero riemerge dallo scavo sull’altura che fu nucleo dell’urbe, proprio qui dietro al museo, prima che lo ricoprissero per proteggerlo. Non fu molto, a dire il vero, ma mi fece ben sperare».

«Un giorno, chissà…».

Gavio concluse così il suo consueto soliloquio notturno.

A volte immaginava che Terenzio potesse star facendo lo stesso, sopra le fondamenta di Venezia all’orizzonte.

Fece ritorno verso il museo dove si ritirò nella pietra.

Come usava fare sempre.

In attesa.


FINE…?


Bibliografia delle Immagini

Cresci Marrone G. 2004, Gavio aquilone: l’iscrizione dai molti problemi di un antico cavaliere romano, in Studi di archeologia in onore di Gustavo Traversari I, a cura di M. Fano Santi, Roma, pp. 231-241.

Ninfo A. et al. 2011, Nuove tecnologie per la ricostruzione della pianta della città: il telerilevamento di Altino, in Altino antica. Dai Veneti a Venezia, a cura di M. Tirelli, Venezia, pp. 199-203.